FIABE E RACCONTI ILLUSTRATI 2005: Il cuciniere degli umili – vincitore Sez. Fiaba

 

IL CUCINIERE DEGLI UMILI – vincitore Sez. Fiaba
di Emanuele Grindatto, Napoli

Da molto tempo, sul volto del re di Comesichiama non si vedeva più un sorriso.
La sua unica figlia, la bella Babele che tutti amavano per i suoi modi gentili, era afflitta dal Mal di Cibo.
Babele non voleva mangiare nulla, non trovava più gusto in alcuna pietanza. Era davvero una terribile malattia quella, una malattia a cui i medici reali non erano riusciti a trovare alcuna cura.
E se il re non sorrideva, neppure il primo ministro sorrideva, e nemmeno i cortigiani, i servi, i giardinieri, e i cuochi sorridevano.
Soprattutto i cuochi avevano poco da stare allegri perché il sovrano, preso dalla disperazione, aveva deciso di imprigionare, per poi mettere a morte, tutti i cuochi che non fossero riusciti a restituire l’appetito alla principessa.
All’inizio, la decisione del re non preoccupò più di tanto i cuochi del regno: boriosi e sicuri di sé com’erano, si sentivano immuni da quella punizione. Oramai avevano fiducia nei loro piatti ricchi di sapori e abbelliti da ogni guarnizione: nessuno aveva mai osato disdegnare delle pietanze così rinomate.
Ma a tutti loro, proprio in quella circostanza, capitò la prima volta.
Appena il tempo di sentire il “NO!” della principessa, e il povero cuoco di turno veniva prelevato a forza dalle guardie e condotto nelle segrete del castello.
E Babele, intanto, non dava alcun segno di guarigione, pur avendo ormai provato le pietanze più assortite. In poco tempo l’intero reame si ritrovò con un pugno di cuochi che, per scampare alla terribile prova, si nascondevano sotto falsa identità , o fuggivano lontano.

Per la povera gente del borgo, invece, la situazione non era cambiata: con o senza i cuochi del regno, era sempre la solita minestra. Due patate bollite, qualche rapa, un tozzo di pane secco.
Tra di loro però c’era chi, come il giovane Orlando, sapeva deliziare il palato anche con i piatti più modesti.
Orlando non si definiva un vero cuoco, si dilettava ai fornelli, diceva lui.
Le voci sul ‘cuciniere degli umili’ cominciarono a spargersi velocemente, dai vicoli del borgo fino al colle del castello.
E non passò molto tempo che anche il re ne venisse a conoscenza.
‘Com’è possibile – pensò – che per tutto questo tempo non ne abbia mai sentito parlare? Devo assicurarmi personalmente se quel che si dice su di lui corrisponde a verità !’.



Il tempo di mettersi addosso qualche straccio e il re era già  diventato un mendicante come tanti.

Quella sera, furtivo, scivolò fuori dal castello per percorrere i vicoli alla ricerca del famoso cuciniere.
Gli bastò chiedere un po’ in giro. Gli indicarono la casa in un vicolo, vicino al fiume: “La riconoscerete… davanti alla sua porta si riuniscono i gatti randagi!”.
Così arrivò alla casa, si fece largo tra i gatti, e aprì una porticina socchiusa.
All’interno di una piccola stanza, appena illuminata dal fuoco dei fornelli, si trovava Orlando intento a sbucciare una patata.
Il re si avvicinò.
“Perdonatemi giovanotto – disse – ero fuori in strada e ho sentito un buon profumo arrivare dalla vostra cucina. Così, essendo a digiuno da giorni…”.
Il finto medicante non aveva ancora finito la frase che Orlando gli aveva già  offerto una ciotola colma di zuppa fumante: “Spero vi piaccia, e se ne desiderate ancora non fate complimenti”.
E ricominciò a sbucciare.
Il re prese un cucchiaio e assaggiò.
Bastarono un paio di bocconi perché venisse rapito da un sapore così straordinario da battere tutti i cibi ricercati cui era abituato. Si fece servire un altro piatto, e un altro ancora, fino a quando il suo stomaco non fu completamente pieno.
“In vita mia non ho mai assaggiato una zuppa migliore! – disse il re – Sono sazio, eppure ne mangerei ancora!”.
Il giovane cuoco era lusingato.
Il re lo ringraziò, e i due si salutarono.
E mentre proseguiva nel vicolo buio verso il castello, il re si voltò, e vide Orlando uscire di casa per dividere tra i gatti randagi quel che era rimasto della zuppa.

Arrivato al castello, dopo essersi levato quegli umili stracci, il re ordinò alle sue guardie che gli fosse portato immediatamente il cuciniere.
Orlando venne condotto fino alla sala del trono dove lo attendeva il re, e lì si prostrò in un inchino un po’ impacciato, non conoscendo l’etichetta.
“Cuciniere Orlando – disse il re – siete stato convocato a corte per guarire la mia amata Babele. Non ha appetito, e trova disgustoso tutto ciò che assaggia”.
Orlando si rivolse umilmente al re: “E’ un compito alto quello che mi proponete, maestà , io non sono che un misero dilettante ai fornelli… mi piace cucinare, ma non posso certo paragonarmi ai cuochi che avete qui…”.
“Fandonie! – sbottò il re – Proprio ieri sera sono stato da voi, sotto falsa identità , e mi avete servito la zuppa più buona che io avessi mai mangiato! Quindi: o voi cucinerete per mia figlia, oppure finirete nelle mie prigioni! Portatelo via, e che gli sia concesso tutto ciò di cui ha bisogno”.
Orlando non sapeva cosa fare.
“Potrei cucinare una faraona – pensava – o un dolce favoloso, ma come si cucinano? Io so preparare solo piatti semplici, con ingredienti poveri… certo non adatti ai gusti raffinati di una principessa!’.
Per farsi venire in mente qualcosa decise di scendere al mercato, scortato da due guardie.



E fu lì che, all’improvviso, da una minuscola bancarella, una vocina lo chiamò: “Ehi voi, messere! Se andate cercando qualcosa di particolare, accostatevi!”.
Orlando si avvicinò e vide un mercante con un lungo pastrano e un cappellaccio nero da cui uscivano due orecchie appuntite.
E il viso era quello di un gatto.
“Messere, ciò che ho da proporvi non ha eguali: uova di fenice… che ne dite?”.
Orlando non credeva alle proprie orecchie: uova magiche di fenice! Si diceva che fossero il cibo più squisito, e che potessero curare ogni male essendo la fenice un uccello immortale.
Il mercante si avvicinò ad Orlando e gli sussurrò all’orecchio: “Conosco la vostra pena, sono qui per questo. Prendete e fate guarire la bella Babele!”.
Orlando ritornò di corsa al castello con l’uovo magico.
“Deve essere così buono – pensava – che anche servito all’occhio di bue sarà  comunque un cibo straordinario!’.



Si mise subito ai fornelli, e in pochi minuti il piatto era pronto.
Orlando venne accompagnato nelle stanze della principessa dove già  attendevano il re, il primo ministro e tutte le alte cariche del regno.
Quando videro la pietanza che aveva cucinato scoppiarono tutti a ridere. Nessuno riusciva a credere che volesse proporre alla principessa un piatto così misero e insignificante.
“Intendi prendermi in giro? – disse il sovrano – Sai bene che è in gioco la tua vita!”.
Orlando non ascoltò e tirò dritto verso il letto di Babele.
La principessa era distesa, senza forze, circondata dai medici.
Anche così malata, era la ragazza più bella che avesse mai visto.
“Principessa – sussurrò Orlando – vi ho portato il pranzo”.
“Chi siete, messere?” chiese Babele.
“Sono un umile cuciniere”.
Babele prese il piatto.
“Che cos’è? – chiese – Non ho mai visto nulla di simile”.
“E’ un uovo all’occhio di bue – rispose il cuciniere – assaggiate, vi prego… è per voi”.
La principessa portò alle labbra un boccone.
“E’ buonissimo! – esclamò – E’ il cibo più delizioso che io abbia mai mangiato!” e già  era intenta a tagliarne un altro pezzo.
Finalmente Babele era guarita.

Il re non credeva ai propri occhi, i medici gioivano, il primo ministro gridava al miracolo.
Il re abbracciò Orlando: “Ti ringrazio! Sei riuscito a restituire l’appetito a Babele con un semplice uovo!” gli disse.
“Sire, non è un uovo come gli altri: questo è un uovo di fenice! – rispose Orlando – Ma ora scusatemi, vi prego, prima che sia tardi devo ringraziare qualcuno!”. Orlando si congedò in fretta dal re, e corse al mercato. Lì ritrovò il gatto mercante.
“Signor mercante – gli disse – con il vostro uovo di fenice avete salvato me e la principessa, e mi avete reso felice!”.
“Quell’uovo – disse il gatto – non era di fenice. Era un semplice uovo di chioccia. Non ti è servita nessuna magia per restituire l’appetito a Babele, tranne quella del tuo cuore!”. Detto questo, il gatto fece un balzo e scomparve.

Orlando così, da semplice cuciniere, sposò Babele e divenne principe, oltre che capocuoco reale.
Le segrete del castello vennero subito aperte, e il re, i cuochi e tutti gli abitanti di Comesichiama ritrovarono il sorriso.
E insieme al sorriso, ritrovarono il desiderio delle cose umili.

Ultimo aggiornamento

27 Settembre 2022, 10:09

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