FIABE ILLUSTRATE 2004: Pensione Tale e Quale – menzione per il testo

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PENSIONE TALE E QUALE – menzione per il testo
Vincenzo Ciccone, 31 anni, Carpinone (IS)

Non ho mai saputo se fui abbandonato al momento della mia nascita o se chi mi concepì morì quando ancora non sapevo farfugliare il mio nome, qualcuno addirittura ha mormorato che fui venduto per pochi denari. Tutto quello che comunque oggi so di me è che sono inesorabilmente invecchiato e che la mia vista non è più quella di un tempo, quando c’era lei, quando le sue mani poco curate mi carezzavano ogni mattino prima di andare via.
Oggi arriverà  quello nuovo… eh già , ormai come dicono i miei colleghi sono un pezzo d’antiquariato. «E’ ora che lasci il posto ai giovani! « dicono loro. Quarant’anni in questo albergo senza nessuno che finga un po’ di commozione, che so, due parole di ringraziamento, e invece no, chi avut avut, chi a rat a rat, scurdammc o passat simm è Napul paisà . Ehh, ma io non me ne vado prima di aver incontrato questo giovanotto, eh no! Quella misera valigia di cartone può aspettare, io gli devo spiegare tutto a quello nuovo. E che ci vuole direte voi, accompagnare per quarant’anni i clienti in ascensore, dal piano terra al quindicesimo. Vi sembrerà  impresa facile: invece no! «Buongiorno signora, va al settimo? Oh che bella acconciatura, le sta veramente bene. »
«Sì! Questa acconciatura mi dona proprio ». Quante bugie, quante menzogne, e senza mai tradire lo sguardo. Ogni anno il 12 Settembre quella panzona della Marchesa Matilde De Scofanatis si faceva la sua bella settimanina a Napoli. «Settembre è il mese migliore per la villeggiatura, c’è poca confusione e la temperatura è più fresca ». Ma quando mai! Quella tirchiona approfittava della bassa stagione per spendere meno, e poi o Agosto o Settembre la chiattona sudava uguale, e come sudava! Ma io non lasciavo trapelare niente, fermo, immobile, cortese e pieno di complimenti per tutti; tanto a me che mi costava?
Un mattino verso le 11.30 la Marchesa, che per la sua tirchieria aveva l’abitudine di fare personalmente la spesa e farsela cucinare dal ristorante Nicola Famm Campà  annesso alla pensione, dicendo «Sono di stomaco delicata, devo scegliere io personalmente gli alimenti », si presentò in albergo, facendosi accompagnare al settimo piano, con un bel purpitiello appena pescato, in una borsa di vimini mezza sfondata. «E’ un cimelio di famiglia, questa borsa apparteneva alla mia bisnonna, la Duchessa Abelarda Y Calamar Di Sparnocchiafritta ». Chissà  in quale immondezzaio l’aveva trovata, altro che cimelio; comunque sia, non so per quale motivo, non appena il purpitiello mi ha guardato è schizzato fuori dalla borsa e, arrampicatosi sulla parete, si è andato a fermare proprio sopra la pulsantiera, fermando l’ascensore tra il quarto e il quinto piano. Voi non ci crederete, ma nonostante gli sforzi e i morsi in testa che la Marchesa gli dava, il polpo non ne voleva sapere, pareva incollato. Tira e ritira, macché, non si muoveva. Dopo un paio di ore sono arrivati finalmente i pompieri, e nel mentre che martellavano per forzare la porta e farci uscire, il polpo si gira dalla mia parte con gli occhi spiritati, che pareva avesse visto un demonio, ricomincia a muovere i tentacoli e riparte l’ascensore fino al quindicesimo piano. Non appena si ferma si volta di nuovo, mi guarda, e via al piano terra, sopra e sotto, sotto e sopra, insieme ai pompieri che salivano e scendevano le scale. Ad un certo punto ci fermammo in prossimità  del primo piano e, nonostante le borsettate, oh pardon! le cimeliate della Marchesa, il purpitiello non mollava la presa. Fortunatamente si trovò a passare Totonn ò Piscator, che ebbe la brillante idea di andare a prendere una purpessa. Infatti non appena il polpo annusò la bella tentacolata scese dai pulsanti e finalmente finì quella tragica avventura, regalando anche un bel terno alla Marchesa che si giocò 21 il polpo, 70 il pescatore e 45 i pompieri.
Per non parlare poi di quella coppia di milanesi, che vennero a Napoli il 23 Dicembre 1998. Volevano passare il Santo Natale tra i pastori colorati di San Gregorio Armeno, gustare struffoli e roccocò all’ombra del Vesuvio e salutare l’Anno Nuovo col capitone fritto, trick e track e castagnole. Ma quel mattino, mentre li accompagnavo con le loro due valigie dal piano terra al quattordicesimo, entrò in ascensore Ciccillo o Mariuol. Quel furfante approfittava dei turisti sprovveduti per i suoi borseggi, era così svelto che alcune volte fregava persino me, che non mi è mai sfuggito niente.
Lo stratagemma era sempre lo stesso, fingeva di pigiare inavvertitamente il bottone che ferma l’ascensore e nell’attimo del sussulto, zack! sfilava il portamonete e via, spariva come una saetta. Ma la nordica signora informatasi delle abitudini dei miei paesani si era avveduta, mettendosi i quattrini nel reggipetto… Un urlo stridente mi appannò la vista. «Che succede signora? Vi sentite male? » «Sono stata derubata, quel mascalzone mi ha preso i soldi dal reggiseno! » «Signò! Scusate, ma voi mentre vi infilava le mani fra i seni, non vi siete accorte di nulla? » «Sì che me ne sono accorta, ma io pensavo che avesse buone intenzioni ». Non vi dico la scenata del marito a quelle parole, sì… ma io l’avevo intuito che la signora… io sono stato sempre uno riflessivo, non come questi di oggi pieni di fronzoli, lustri, raggianti e sicuramente troppo veritieri per questo lavoro.
Per svolgere il mio mestiere devi saper recitare: se ti fanno un bel sorriso, tu glielo rifai, se entra un signore serio e indaffarato fai la stessa cosa. Nel mio lavoro, come si dice, devi essere anche un po’ psicologo, il cliente deve essere sempre soddisfatto. Il cliente ha sempre ragione! Eh già , il cliente ha ragione, però c’è sempre l’eccezione, alcune volte la ragione non c’è l’ha, cioè, non è che non ha ragione, ha ragione, è proprio che non ragiona. Avete capito?… mi sa che non avete capito. Ora vi racconto un’altra vicenda che mi è accaduta, così capirete meglio. Un pomeriggio di fine luglio, me ne stavo incorniciato al mio posto come faccio di solito, in attesa che entrasse qualche cliente. Devo ammettere che non ero impeccabile, qualche rivoletto di sudore colava, ma che volete a Napoli in estate si crepa. Tutto ad un tratto entra un tizio che sembrava uscito dal manicomio. Era pure ben vestito, ma secondo me aveva la capa vacante, sì la testa vuota. Entra in ascensore ed io come al solito lo accompagno. Ad un certo punto mi guarda e mi fa la linguaccia, io penso che vuole scherzare e gliela rifaccio. «Fai schifo! Sei una canaglia! Ma non ti vergogni alla tua età ? ». Neh, ma chist è propria scem, pensai tra me e me, mentre fingevo di acconsentire al suo gioco. «Sei un uomo inutile! Un essere insignificante! ». Dopo tutte queste parole di cortesia, il pazzo sapete che fa? Plaff ! Non mi sputa pure in faccia? Eh non ci ho visto più, ma non dalla rabbia, non ci vedevo proprio più, mi aveva centrato in pieno gli occhi. Poi tira fuori dalla tasca un fazzoletto e mi pulisce come se non fosse accaduto nulla, apre la porta al decimo piano, si volta di nuovo prima di uscire e mi dice «Fai schifo! ».
Adesso voi vi aspetterete una morale, il nocciolo della questione, sì … insomma vorrete sapere cosa ho voluto dire con questa storia… niente… al cliente gli devi dare sempre ragione pure quando non ragiona.
… Oh mi sa che è arrivato! Devo lasciare il posto… uè Pasquà , amico mio, allora sei tu che mi hai tradito, e non hai aspettato nemmeno che cantasse il gallo… no Pasquà !… no Pasqualino mio, lasciami ancora un po’, che diamine, ho sgobbato quaranta anni a fare lo specchio d’ascensore, fammi almeno un sorriso… ah no? E mò ti aggiusto io… tiè! Sette anni di disgrazie… ehhee, ma non ti disperare che vuoi che siano sette anni di sfortune in confronto A CHI HA VISSUTO TUTTA LA VITA CON IL VOLTO DI TUTTI E NON SI E’ GUARDATO MAI.
E POI DICONO CHE LO SPECCHIO NON HA ANIMA

Nota: «Tale e Quale » espressione partenopea per indicare lo specchio.

Ultimo aggiornamento

27 Settembre 2022, 10:39

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