FIABE ILLUSTRATE 2004: Un giorno speciale per Tino T. – menzione per il testo

 

UN GIORNO SPECIALE PER TINO T. – menzione per il testo
Daniele Faenzi, 29 anni, Vicenza

I due palazzi erano due parallelepipedi altissimi. Sfioravano le nubi plumbee come due montagne grigie; sotto di essi la città , piatta e frenetica, era un disegno in bianco e nero.
La casetta di Tino T.: un cubetto dentro un parallelepipedo, l’ufficio invece un rettangolino nell’altro. Qui si alzava e coricava, lavava e vestiva, là  timbrava, timbrava, timbrava; era il suo mestiere, certo mica era da tutti, certo ci voleva attenzione. Ed essere ineccepibili, profumati, ben rasati; soprattutto la cravatta, intonata, in perfetto ordine.
Due volte al giorno tutti i giorni il signor T. andava e veniva, il completo grigio per le vie nebbiose, serio serio ed austero. E mentre l’ascensore lo portava su e giù per la gola del grattacielo, ecco che balenava il suo unico raggio di luce: la vicina Matilde che alla stessa ora scendeva per recarsi al lavoro. Faceva la pasticcera, così quando alla stessa ora saliva era una dolce vampata di cioccolato e vaniglia. Ah, Matilde, i dolci boccoli bruni, i candidi fianchi rotondi, e i deliziosi, adorati bignè!
Non si dicevano una parola, e nella luce verdognola allo specchio dell’ascensore un altro Tino e un’altra Matilde si scoccavano a volte tenere occhiate silenziose.
Così come mille altri quel giorno sarebbe trascorso. E’ vero, era il suo compleanno. Ma nulla avrebbe sottratto il signor T. alla giornata di lavoro, niente avrebbe potuto portarlo sul lago, ad attendere l’abboccare di qualche luccio. Aveva dormito male, era stufo, ma si rasò, si preparò. Infilò la cravatta.
La parte stretta sotto la parte larga. Un giro. Un altro giro. Reggere dove si assottiglia. Passare nell’occhiello. Dentro, fuori, ancora dentro. Aggiustatina finale. Et voilà .
Sulle prime non capì. Nodo perfetto. Perfetto nella forma. No. Non quadrava. Qualcosa. Non capiva. Forma e colore. Colore. Forse non s’intonava. Rifletté. Riguardò. Cravatta a strisce rosso arancio. Stonava con la giacca gialla. Giacca gialla. Diamine! Giacca gialla! A pois rossi!
E la sua faccia: il sorriso franco, lo sguardo allegro gli sorrideva, con aria felice. Mentre dietro di lui una parete di palloncini annunciava il suo compleanno: tutto questo rimandava lo specchio. Di scatto si voltò: le solite pareti bianche, niente torte né spumante, ecco il completo grigio, i capelli radi.
L’arco delle sopracciglia si acuì ancora: si sentiva finito, prossimo al tracollo; polso accelerato, visioni… Non si volse più allo specchio, anzi lo stramaledì; poi fuori, sbattendo la porta, la mente tra pensieri bui.
L’uomo con la giacca gialla invece si girò, con un gesto spigliato si ravvivò il ciuffo. Dalla finestra sul balconcino, si tolse la cravatta e la srotolò… in tutta la sua insospettabile lunghezza: diamine, saranno stati un dieci metri. La tenne per gli angoli, con delicatezza ci soffiò dentro e magia! un colpo di vento lo sollevò a mezz’aria. Stava salendo, aggrappato ai lembi dell’aliante che si gonfiava, spiegandosi come una vela sempre più su, sempre più in alto; già  era lontano il terrazzino sotto i suoi piedi. Cielo, nuvole, una brezza tiepida e ascensionale: Tino non sentiva altro che questo. E piccino piccino si faceva il grattacielo grigio, piccina la città  tetra di traffico e smog.
Si diresse verso un bosco ai margini della metropoli e si tuffò fra i rami odorosi, verso una casettina in legno: proprio un piccolo cottage con veranda, vicino a un placido specchio d’acqua. Annodò la cravatta fra due rami e vi si accoccolò come su un’amaca; non era mai stato così comodo in vita sua. Si rilassò. Socchiuse gli occhi. Era una giornata magnifica.
Tino si sentì spossato, un po’ in disordine; il ciuffo ribelle era tutto scompigliato: dalla tasca estrasse il suo specchietto portatile. Là  un omino grigio e depresso osservava le proprie occhiaie nel bagno di un ufficio. Un timbro nero e rotondo gli bollava il polsino. Segno di profondissima stanchezza, di pensieri altrove.
I loro sguardi si incrociarono; quello parve stupito di vederlo là , immerso nel verde, pronto a una sessione di pesca in riva al lago. E tutto di fretta il signor T. uscì dal bagno, senza nemmeno asciugarsi le mani, gli occhi a terra, trascinandosi i piedi.
Ora Tino era di nuovo in alto. Veleggiava, appollaiato nel cestello: la cravatta una mongolfiera a strisce, era tonda ed enorme come un aerostato; poteva fluttuare per ore sopra i comignoli. I cubi di cemento della città  erano giocattoli laggiù, stinti nel dolce crepuscolo; molto più in alto della metropoli brillava già  la prima stella della sera.
Lampeggiarono gli ultimi raggi di sole, poi l’azzurro si scurì e un morbido manto blu si apparecchiò per la Luna. Si sentì più leggero di una piuma di colibrì, e le stelle gli luccicavano attorno infinite, vicine. Alcune, più che astri, parevano pasticcini, cioccolatini e bignè; e tra i regali torreggiavano le candeline di una torta multistrato: un festino da leccarsi i baffi. La torta si scioglieva in bocca come una violetta, così pure il bignè. Sì. Bignè. Proprio i divini bignè della pasticceria di Matilde.
Oh, la dolce e cara Matilde! Ebbe voglia di rivederla, e avrebbe fatto meglio a sbrigarsi se voleva incontrarla. Allora la cravatta si srotolò in tutta la sua sconfinata lunghezza, come uno scivolo a righine, e lui scivolava, scivolava come una freccia alla volta del suo grattacielo.
Fece appena in tempo a infilarsi nell’ascensore. Sembrava una serra, tutto pieno di piante rigogliose, profumato di glicini e violette. C’erano perfino due piccole sedie davanti a un tavolino basso da tè, con latte zucchero e biscottini. Le porte due eleganti guglie di ferro battuto: presto si chiusero dietro i boccoli bruni di Matilde. Anche lei oggi era tutta speciale: come le donavano gli abiti, e il suo sguardo, quanto era dolce.
Buonasera, disse in un soffio, buonasera, rispose. Gradisce un tè… Tino non riusciva proprio a trattenersi! Si avvicinavano un po’, sì; pian piano Tino le si fece accanto. Le passò con grazia una mano sulle spalle. Vuole dei biscottini… le disse, finché si fece così vicino che l’abbracciò, ecco, non poté evitarlo. Quanto zucchero? Ecco cosa le disse, un attimo prima di avvicinare le labbra a quelle rosse di Matilde.
Fu un bacio lungo e dolcissimo: nessuno dei due aprì gli occhi nemmeno un secondo finché, dopo un tempo che parve infinito l’ascensore arrivò a destinazione. E fu esattamente così che andò, anche se le immagini allo specchio, forse per timidezza, forse per stanchezza, quella sera nemmeno si guardarono.
Già  dardeggiavano i primi raggi dell’alba sulle file di casermoni, tutti uguali, con le ultime finestrelle illuminate. Plin, plin, si spegnevano le lucette; il blu profondo si stemperava in azzurro, ed ecco, ecco spuntare i più mattinieri, già  fuori casa.
Il signor T., cioè Tino T., aveva avuto una notte agitata, ma oggi era pur sempre il suo compleanno, e così, ecco, aveva deciso di mettere almeno una cravatta colorata. Quella a strisce gialle e arancioni sarebbe stata perfetta.
La parte stretta sotto la parte larga. Un giro. Un altro giro. Reggere dove si assottiglia. Passare nell’occhiello. Dentro, fuori, ancora dentro. Aggiustatina finale. Et voilà , perfetto: lo specchio gli rimandò una faccia allegra, dipinta su un accostamento di colori improbabile.
Uscì, pensando che chi lo sa, magari una festa a sorpresa. Qualcosa gli diceva, qualcosa gli diceva… din-don. L’ascensore. Le porte si aprirono su una vampata di dolce aroma, sul grazioso ondeggiare di una nuvola bruna. Si ritoccava il rossetto, le labbra rosse nello specchio, mentre lui lottava col malefico ciuffo ribelle.
E là  i loro occhi si incontrarono, in quel cubo che scendeva a tutta birra verso il piano terra. Quando distolsero lo sguardo dall’immagine riflessa si ritrovarono vicini vicini. Sfiorarsi, e sorprendersi a guardarsi in faccia. Non le poteva sfuggire la macchia di colore al suo collo; non poteva non cedere al ciuffo sparato sul sorriso spigliato.
In questi casi, si sa, vengono fuori le frasi più sceme: così a Tino T., per rompere il ghiaccio, venne in mente di dire: «Quanto zucchero… quanti cucchiaini… nel tè? » E chi notò le parole… erano solo briciole in un’atmosfera magica, in un abbraccio che parve senza fine.
Qualcuno si chiese perché i meteorologi continuassero, contro ogni evidenza, a parlare di nebbia. Altri si interrogarono circa i malfunzionamenti continui dell’ascensore nell’ultima settimana. E che ci facevano mazzi di fiori là  dentro? In pochi si accorsero della svolta spericolata nel look di Tino T.
Ma l’uomo dello specchio, lui, non aveva da ridire. Ultimamente si vedeva vestito in fresco di lana, a braccetto di una nuvola bruna, nel profumo di primavera. E una gita al lago, un’amaca, una casetta di legno. Forse, più in là , una fuga a due a bordo di una tonda, dondolante mongolfiera a strisce.

Ultimo aggiornamento

27 Settembre 2022, 10:36

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